Peritonite Infettiva Felina

La Peritonite Infettiva Felina (FIP) è una malattia infettiva che interessa la specie felina in genere, e sembrerebbe essere ad oggi, l’infezione che causa il maggior numero di decessi nei gatti.

L'agente infettivo responsabile dell'eventuale sviluppo della FIP sembra essere il coronavirus felino FCoV, molto diffuso e normalmente innocuo abitante dell’intestino del gatto. La trasmissione dei virus da gatto a gatto avviene attraverso le feci e per contaminazione fecale dell’ambiente, ed è quindi più probabile negli ambienti dove sono presenti numerosi animali (allevamenti, colonie, gattili). In tali ambienti ci sono infatti alte percentuali di gatti sieropositivi e che eliminano il virus con le feci: il 10-15% dei gatti eliminano sempre il virus, il 70-80% lo eliminano periodicamente a causa di continue re-infezioni, e il 5% circa (gli animali “immuni”) non lo elimina mai. Durante la loro replicazione intestinale i FCoV possono mutare e dare origine a varianti molto patogene, in grado di indurre la FIP. La probabilità di mutazione aumenta se è elevato il tasso di replicazione, e quindi la probabilità di comparsa di FIP è tanto maggiore laddove vi siano numerosi esemplari che convivono nello stesso ambiente o territorio, quindi colonie, allevamenti, pensioni. E’ stata evidenziata anche una predisposizione ereditaria allo sviluppo di FIP ed è noto che l’immunosoppressione (es: stress, sovraffollamento, infezioni intercorrenti, interventi chirurgici, farmaci corticosteroidei) predispone allo sviluppo della malattia. I FCoV patogeni differiscono da quelli intestinali in quanto riescono a replicarsi nei monociti e nei macrofagi. I virus mutati inducono una risposta infiammatoria che può portare a lesioni della rete capillare che riveste le cavità corporee oppure all’intervento di altre cellule infiammatorie. Una percentuale superiore al 90% dei gatti ha avuto modo di ospitare FCoV, ma solo una percentuale non superiore al 15% sviluppa la FIP. Questo sembra essere dovuto alla risposta immunitaria non appropriata di alcuni soggetti, ed a causa di ciò l'innocuo FCoV muterebbe andando a provocare vasculiti agli organi del soggetto colpito. Le vasculiti provocano a loro volta versamenti addominali e pleurici o granulomi sulle sierose e negli organi parenchimatosi. La fascia di età interessata maggiormente da questa patologia è al momento fissata tra i tre mesi ed i cinque anni. Poiché una delle cause della mutazione del coronavirus sembra attribuibile ad un indebolimento del sistema immunitario, rientrano tra i soggetti a rischio anche i gatti anziani.

La FIP viene distinta nella forma effusiva (umida) o non effusiva (secca): La forma umida è la forma più classica e diffusa della FIP. I vasi sanguigni sono compromessi al punto da far si che il fluido fuoriesca da essi invadendo così la cavità addominale o toracica. Nel caso in cui sia invasa la cavità addominale si ha un rigonfiamento importante dell'addome; se il versamento interessa il torace, il fluido riduce la capacità dei polmoni di espandersi ed il gatto ha difficoltà respiratorie. Oltre ad essere la forma più classica, è altresì la più veloce nel condurre alla morte il soggetto colpito (in genere non supera i due mesi dai primi sintomi). La forma secca presenta sintomi clinici principalmente legati agli organi colpiti attraverso l'infiammazione dei vasi sanguigni che li alimentano: insufficienza renale o insufficienza epatica con ittero. In entrambe le forme sono poi presenti altri sintomi non specifici come febbre, dimagramento, crescita stentata, e, frequentemente, sintomi neurologici e/o oculari.

A parte l’esame istologico degli organi colpiti, non esistono test in grado di confermare un sospetto clinico di FIP. In caso di sintomi sospetti, è opportuno esaminare il segnalamento e la storia clinica nonché utilizzare un pannello di esami composto dall’esame emocromocitometrico, che evidenzia modica anemia e diminuzione dei linfociti, l’elettroforesi delle proteine, che evidenzia aumento di proteine totali, alfa e gamma globuline ed il dosaggio della alfa1-glicoproteina acida (AGP), che aumenta. Nella forma umida si può anche esaminare il versamento, che appare giallo e denso, ha un elevato peso specifico, è ricco di proteine, ed eseguire esami citologici che rivelano un quadro infiammatorio e che possono essere usati per ricercare i FCoV all’interno dei macrofagi mediante immunofluorescenza o immunoistochimica. Nelle forme secche è invece altamente diagnostica l’evidenziazione diretta delle lesioni su campioni d’organo (es. fegato o rene) raccolti mediante biopsia eventualmente corredata da immunoistochimica per FCoV positiva, ma spesso le condizioni generali del soggetto sconsigliano anestesia e prelievo bioptico. La sierologia (ELISA, immunofluorescenza, ecc.) o la PCR (Polymerase Chain Reaction, tecnica che evidenzia il genoma del virus) eseguiti sul sangue possono solo dire se un gatto ha il FCoV o meno, ma non se il virus presente è quello intestinale o quello mutato. Al contrario, nelle fasi conclamate della malattia, i gatti possono risultare sieronegativi perché gli anticorpi sono “sequestrati” nelle lesioni. I titoli anticorpali possono invece risultare elevati anche in assenza di malattia in cuccioli che hanno ricevuto anticorpi dalla madre o in gatti di allevamento dove, a causa delle continue re-infezioni, i titoli fluttuano nel tempo. Tutte queste caratteristiche rendono sierologia e PCR inutili per la diagnosi nei gatti malati.

Non esistono vaccini efficaci e sicuri per la FIP, per cui l’unico modo per prevenire la FIP, oltre al rispetto di buone norme igieniche (il FCoV è sensibile ai più comuni disinfettanti ed alla candeggina) è abbassare la probabilità di mutazione del virus e quindi abbassare o meglio eliminare la carica virale. Nessuna terapia a tutt’oggi è ritenuta efficace in corso di FIP. Cortisonici, interferone e/o altri immunomodulatori hanno fornito risultati contrastanti. E’ buona pratica effettuare terapie di supporto scelte in base alle condizioni generali dei soggetti ed optare per l’eutanasia quando anche le terapie palliative non riescono più ad alleviare i sintomi.


Raffaella Capobianco, Medico Veterinario

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  • Ultima modifica: 2009/10/16 19:45
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